domenica 30 novembre 2008

Note sul Rapporto Aureo


La Geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora; l’ altro è la Sezione Aurea di un segmento. Il primo lo possiamo paragonare ad un oggetto d’ oro; il secondo lo possiamo definire un prezioso gioiello. (Johannes Kepler)
Il rapporto aureo è Il rapporto fra due segmenti di cui il più grande è medio proporzionale fra il più piccolo e la loro somma. In termini geometrici dato un Un rettangolo esso si definisce aureo quando l'altezza è la sezione aurea della base.In altre parole, supponiamo a, b siano rispettivamente la base e l'altezza del nostro rettangolo. Diremo che questo è aureo se sussiste la proporzione: a : b = b : (a - b)Ovvero, se consideriamo per semplicità a = 1, b dovrà soddisfare la seguente equazione: b² + b - 1 = 0 cioè dovremo avere b = ~ 0.618034 Da tale semplice evidenza scaturiscono notevoli implicazioniRestando sempre sul nostro rettangolo e dividendolo in due parti secondo la lunghezza minore pari a 0,618 otterremo un quadrato e un rettangolo : ebbene il rettangolo generato è simile al rettangolo originario ed è ancora un rettangolo aureo. Potremmo ripetere l’operazione teoricamente all’infinito e le proporzioni dei rettangoli generati restano invariate. Questa proprietà proporzionale è chiaramente emergente soltanto su un rettangolo generato da un rapporto aureo.Immaginiamo di andare avanti "all'infinito" e di unire i punti aurei (seguendo sempre lo stesso verso) con un curva che sia ogni volta tangente al segmento che tocca nel punto aureo. Quella che otterremo è una spirale logaritmica.La spirale logaritmica è una figura ricorrente in natura : alcune conchiglie, le galassie a spirale, la forma degli uragani sono solo alcuni esempi. Essa forse rappresenta una delle forme più eleganti esistenti nell’universo; la curva della spirale logaritmica si avvolge intorno al polo senza mai raggiungerlo. Il centro della spirale è all’infinito. La spirale logaritmica è anche descrivibile mediante la sequenza dei numeri di Fibonacci (Pisa, 1180-1250), la sequenza si compone di una serie di numeri (0,1,1,2,3,5,8,13,21,34,55,89,144,233…), posti in relazione in modo tale che ogni termine successivo è uguale alla somma dei due immediatamente precedenti. La particolarità è che il rapporto tra due termini successivi si avvicina molto rapidamente al numero decimale 0,618 che rappresenta il numero aureoLA STORIAIl rapporto aureo sembra essere conosciuto fin dall’antichità ma, nonostante la quantità notevole di opere pervenuteci conosciamo poco della teoria estetica che si trova alla loro base, a causa della mancanza di una chiara testimonianza grafica o letteraria. Verosimilmente possiamo fare delle misurazioni sul Partendone, sui templi di Paestum, sulle antiche piramidi oppure sul famoso Doriforo di Policleto e scorgervi il rapporto aureo ma, non possiamo essere veramente sicuri che esso fu usato in modo premeditato. La sezione aurea fu studiata dai Pitagorici i quali scoprirono che il lato del decagono regolare inscritto in una circonferenza di raggio r è la sezione aurea del raggio. Nel medioevo la ricerca di rapporti generatori di armonia nelle proporzioni investì anche musica e architettura, si pensava che la traduzione degli accordi e dei rapporti armonici tra note di lunghezze opportunamente proporzionate potesse essere un buon metodo per ottenere l’armonia in architettura. Un esempio di questi studi è offerto dalla descrizione che, nel secolo XIII, Villard de Honnecourt fece della chiesa cistercense: «Questa chiesa è inscritta in un rettangolo 3/2, cioè un triplo quadrato doppio, corrispondente alla quinta... Il coro è una proiezione della quarta 4/3, i transetti materializzano il rapporto dell’ottava 4/2; il transetto nel suo insieme obbedisce alla stessa legge di 8/4; l’incrocio della navata e transetto rappresenta un perfetto quadrato, 4/4, cioè l’unità, principio di ogni armonia... la navata ricorda la terza 5/4. Il coro e la navata congiunti... stanno, rispetto alla navata più il quadrato centrale, nel rapporto del tono di 9/8. Tutti gli intervalli fondamentali della musica si trovano qui». Solo nel rinascimento tali teorie vengono correttamente formulate e applicate. Il vero inizio fu dato dall’opera di Luca Pacioli “La Divina Proportione”, diffusa in tutta Europa e incentrata proprio sulla proporzione come chiave universale per penetrare i segreti della bellezza e della natura; dove al centro è collocato l’uomo, misura di ogni cosa, sospeso tra un quadrato ed un cerchio nell’ “Uomo Vitruviano”, il celebre disegno di Leonardo. E tra tutte le possibili proporzioni, quella aurea sembra essere la vera ispiratrice della bellezza del creato. L’illustratore dell’opera di Luca Pacioli fu proprio Leonardo Da Vinci. La considerazione che il Pacioli aveva per questa costruzione traspare dal suo pensiero: “Commo Idio propriamente non se po diffinire ne per parolle a noi intendere, così questa nostra proportione non se po mai per numero intendibile asegnare, nè per quantità alcuna rationale exprimere, ma sempre fia occulta e secreta e da li mathematici chiamata irrationale”.Fra i contemporanei Le Corbusier ha cercato per tutta la vita di «scoprire la ricetta alchemica dell’architettura, un sistema di comporre così sicuro e obiettivo da risultare quasi inevitabile» (B.Zevi), cominciando dai rapporti di sezione aurea nelle prime opere ai tracciati regolatori fino al Modulor e alle griglie urbanistiche. Nel Modulor, ricavato dalla figura umana divisa secondo la sezione aurea i valori ottenuti determinano un insieme di dimensioni preferenziali, consentendo infinite combinazioni compositive.

Da tempo immemorabile l’uomo ha cercato di ricondurre la bellezza e la perfezione della natura a rapporti armonici, ha cercato di ingabbiare il creato in formule matematiche e dimostrazioni geometriche. Nel "Timeo" Platone sostiene che i tre termini di una proporzione divina - la più grande (la linea intera), quella di mezzo (il segmento più lungo) e la più piccola (il segmento più corto) - sono "tutti di necessità gli stessi, e poiché sono gli stessi, non sono che uno". In una progressione di divine proporzioni, ogni parte è un microcosmo, o modello minuscolo, di tutto l'insieme. Gli antichi Egizi e i Greci generavano le loro opere artistiche guardando e imitando la natura e l’imitazione doveva avere come mezzo un linguaggio di codifica per avvicinarsi il più possibile all’armonia universale. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande: tutto sembra regolato da perfezioni matematiche, da precisi calcoli predefiniti, applicati dal piccolo mollusco all’immensa galassia a spirale. Ma è veramente così? Chiaramente non tutto l’universo può essere ricondotto al rapporto aureo quindi esso non è il principio generatore dell’armonia o, quantomeno, non è l’unico. Dobbiamo supporre che Dio abbia “usato” non una ma una serie di “formule” per generare l’universo? Ed ancora Se l’uomo è parte di tale armonia allora anche la sua opera e il suo pensiero, espressi nella forma più alta e poetica, avranno i caratteri di armonia che contraddistinguono il creato sia che l’uomo usa consciamente o inconsciamente tali principi armonici, e, il processo inconscio può generare forme la cui bellezza ed eleganza vanno al di la di una semplice applicazione di formule. Questo processo a volte può essere misurato e razionalizzato ed ecco che usiamo il linguaggio matematico per aiutarci nella comprensione della bellezza . Resta il fatto che molte opere d’arte non sono misurabili geometricamente e la loro interpretazione è soltanto poetica e spirituale.Così come la matematica non definisce completamente la realtà oggettiva ma cerca di descrivere il mondo secondo il proprio linguaggio anche il rapporto aureo è costruito e adattato alle cose e alla natura secondo nostri schemi e adattamenti arbitrari e, a volte, assolutamente non oggettivi. In tal senso non meravigliano alcune forzature nell’adattare il rapporto aureo a cose che in effetti non lo contengono.La matematica resta un linguaggio, uno dei tanti e, sono convinto che da sola non basta per una descrizione soddisfacente del creato ma essa deve essere affiancata da altre forme di linguaggio e descrizione della realtà che l’uomo ha creato : la poesia, la musica, la filosofia, la religione e la globalità della nostra coscienza cultura e conoscenza. Io non credo nel riduzionismo matematico: Il mondo non può essere ridotto a qualche formula per comprenderlo nella sua totalità; anche integrando tutte le espressioni del pensiero umano, forse mai riusciremo a comprendere totalmente ma solo ad avvicinarci asintoticamente alla realtà oggettiva. Mi piace ricordare un pensiero di Leibniz che distingue i diversi livelli di pensiero fra l’uomo e Dio : Quando Dio pensa crea il mondo, in altri termini il pensiero di Dio è lo stesso Universo mentre il nostro pensiero crea immagini dell’universo quindi immagini del creatore ma non il creatore stesso. Possiamo solo affacciarci su questo abisso di conoscenza che sembra non aver fine e provare la dolce e tremenda sensazione della vertigine. Albert Einstein cercava la formula matematica “ultima” la più bella ed elegante, quella che da sola spiegasse l’intero creato: non ci riuscì e, nonostante le apparenze scientifiche, ne siamo ancora molto lontani ammesso che questa formula esista da qualche parte, ammesso anche che Dio la abbia usata e sia ancora rintracciabile dopo miliardi di anni di evoluzione dell’universo. Certe forme del Mondo sono schematizzabili secondo il rapporto aureo , o meglio, certe forme della natura si somigliano nella loro struttura formale ma questo è solo una costante nella loro complessità, altre costanti potrebbero essere scoperte o inventate ( e questo resta il nocciolo della questione) e forse alcune di esse non avrebbero affatto regole matematiche .

venerdì 28 novembre 2008

Le sette opere di Misericordia


Oggi mi propongo di analizzare un dipinto forse poco famoso di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio : “Le sette opere di Misericordia” realizzato nel 1607 da Caravaggio è conservato presso Il Pio Monte della Misericordia in Via dei Tribunali a Napoli. Una caratteristica presente in tutti i dipinti del Caravaggio è l’ intrinseca dinamicità dei personaggi e dello spazio raffigurato che, sembrano, avere un loro interno movimento. Essi presentano un energia interna che li rende vivi in un luogo dove oltre alle tre coordinate spaziali sembra essere presente anche quella temporale associata al movimento; ma di che genere di movimento si tratta? E attraverso quali illusioni ottiche il Caravaggio lo pone in essere? La pittura e l’architettura del rinascimento sottolineavano a livello percettivo quello che era il pensiero dominante del tempo : l’esistenza di un centro, dell’uomo al centro dell’universo, L’uomo di Leonardo inscritto in un cerchio ne è un chiaro esempio. La figura geometrica che meglio rappresentava il concetto di centro unico era appunto il cerchio nelle spazio bidimensionale e la sfera in quello tridimensionale. Nel seicento e forse già prima con Michelangelo Buonarroti l’uomo non è più l’unico fulcro e la concretezza realistica si compenetra alla metafisica spiritualità. Ma torniamo alle sette opere di misericordia: tutta la composizione si sviluppa secondo una traettoria ellittica e va in profondità trasformando l’ellisse nel suo solido corrispondente creando un spazio estremamente dinamico, il centro della composizione è vuoto e questo contribuisce a creare ancor più il senso del movimento mentre uno dei fuochi dell’ellissoide corrisponde alla mano dell’angelo che sovrasta tutta la composizione e che sembra appoggiata ad un sostegno invisibile quasi a comprimere l’atmosfera sottostante e a pregnarla di energia potenziale, le dita dell’angelo e la direzione dello sguardo definiscono due distinti punti di fuga prospettici dell’intera opera sottolineando la “centralità” dell’angelo che con lo sguardo illumina la donna che soddisfa l’assetato. Questa breve lettura geometrico-spaziale dell’opera non certo vuole lasciar intendere che l’autore sia partito da schemi grafici per poi costruire l’intera opera ma vuole dimostrare come lo spostamento di un centro metafisico abbia il suo correlato nello spostamento di un centro geometrico, come le masse del rinascimento vengono rese dinamiche dallo spirito barocco creando una spazialità inquieta e drammatica .

giovedì 27 novembre 2008

Il parco di Bomarzo


«Chi con ciglia inarcate et labbra strette non va per questo locomanco ammira le famose del mondo moli sette».
Queste sono alcune delle le frasi scolpite nella pietre del “Sacro Bosco” o, come viene più comunemente definito: «Parco dei Mostri di Bomarzo». Bomarzo è una località che dista una cinquantina di chilometri dal casello dell’autostrada che collega Roma a Milano. Da qui, è possibile giungere al casello di Attigliano, uscita obbligatoria per tutti coloro che vogliono visitare il fantastico Parco.
Personaggio singolare fu Vicino orsini uomo d'armi e letterato che fece costruire il parco dei mostri di Bomarzo tra il 1552 e il 1580 anni sicuramente votati ad un diverso e classicheggiante linguaggio architettonico. Nel parco di Bomarzo i principi e le norme del classicismo vengono totalmente ignorate in favore di un surrealismo che negli anni a venire sfocerà nel barocco .Opera, quindi, fantastica e anticipatrice dei tempi. Le visioni del barocco sono tutte qui e a saperle leggere sono rinchiuse tutte le angosce e gli interrogativi che nell’immediato futuro si sarebbero palesate in tutta Europa divenendo così moda. Le sculture e le architetture del parco mettono in dubbio la validità delle umane percezioni per favorire sensi di precarietà e relatività delle convinzioni percettive.
Esempio paradigmatico fra le tante sculture e architetture presenti nel parco è la “casa della fortuna” : edificio alto poco più di un piano che pende vistosamente da un lato. L’impressione che si ha è che la casa possa cadere appoggiandosi alla collina da un momento all’altro. Entrando nell’edificio si prova senso di vertigine e di straniamento. Il pavimento, inclinato, costringe lo sguardo a spingersi al di là della finestra verso il paesaggio collinare circostante, come a ricercare un punto di riferimento temporaneamente perduto.
E oltre ecco pararsi davanti a noi sfingi, elefanti colossali, ciclopi e teste infernali,delfini e draghi e un Grande ninfeo ad emiciclo e ancora iscrizioni: SOL / PER / SFOGARE / IL CORE/ VICINO / ORSINO / NEL / MDLII. E ancora un’orco con l’iscrizione : “ogni pensiero vola”.
Tutto sembra folle gioco o capriccio ma se si ha la possibilità di visitare il parco in solitudine e nel silenzio della natura si percepirà quella che io reputo la vera intenzione progettuale di Vicino Orsini : lo sradicamento delle convinzioni percettive più elementari che favoriscono la meditazione sulla relatività della vita e delle convinzioni umane. Nel Parco dei divertimenti allora il gioco diventa serio e non ha nulla a che vedere con i moderni Dysneyland dove il pensiero non è favorito ma interrotto con la forza, dove la bizzarria e la fantasia sono elementi preconfezionati e banali. L’intento ludico di Vicino Orsini è il mezzo per allargare la nostra percezione e i paradisi artificiali così ben descritti da Huxeley sono percepibili attraverso i mezzi della natura e del suo controllo puntuale. Natura ed artificio colloquiano in un equilibrio instabile, tellurico, le figure fantastiche emanate dalle rocce fanno da ponte fra soprassuolo e sottosuolo fra esperienza cosciente e visioni oniriche, la nostra visione cartesiana dell’universo è messa in dubbio, la storia della razionalità per un attimo azzerata. La fiorente vegetazione è interrotta qua e là dalla forza del sogno. Lo spazio così generato dilata l’orizzonte percettivo e sensibile, la logica è capovolta. Manipolazione della materia, come in un lucido ed arcano processo alchemico.Tutto ci rapporta al mito delle origini in questo strabiliante esempio di architettura del paesaggio che sa ancora, a distanza di secoli, parlarci con linguaggio quanto mai moderno e attuale
VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO VAGHI / DI VEDER MARAVIGLIE ALTE ET STVPENDE / VENITE QVA DOVE SON FACCIE HORRENDE / ELEFANTI LEONI ORSI ORCHE ET DRAGHI.

mercoledì 26 novembre 2008

Arabian blade


Arabian blade tower on prestige house review-Varsavia
Project : Claudio Catalano architect http://www.claudiocatalano.com/

martedì 25 novembre 2008

Architettura, natura e sistemi emergenti

lunedì 24 novembre 2008

Mente e spazio - Le città invisibili di Italo Calvino


Italo Calvino nel suo Libro “Le città Invisibili edito nel 1972 immagina che Marco Polo presenti a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, i suoi appunti dei viaggi in Estremo Oriente, l’opera comprende cinquantacinque descrizioni di città, tutte con nome di donna. Queste sono suddivise in undici categorie, ognuna delle quali contiene cinque descrizioni di città. L’opera di Calvino rappresenta un resoconto di un viaggio avvenuto in una realtà “parallela” ma non per questo meno tangibile di quella ove siamo immersi fisicamente, vi sono dei punti di contatto fra le due realtà : la materia costruisce entrambe, essa, nell’opera di Calvino serve per uno spostamento del punto di vista e della conseguente significazione come nella città dei morti Argia :“Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d'aria ha terra. Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d'argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un'altra scala in negativo, sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con le nuvole…”Un libro come un progetto come un percorso in una realtà interiore ottenuta dalla commistione di elementi esterni ricombinati secondo logiche interne e secondo la coerenza del sogno e della fantasia, la materia resa vivente perché non ubbidiente alle leggi fisiche ma allo spazio dello spirito. La materia letteraria della stessa esattezza del cristallo, per Calvino ponte ideale fra la materia inanimata e il vivente, rete connettiva di esperienze, di suggestioni e volontà di ricostruzione. Percorso di cinquantacinque città reali e di cinquantacinque racconti di città altrettanto reali perchè dominio della memoria intesa come ricostruzione e archivio della realtà fisica sublimata e caricata di valenza spirituali e magiche.Così come nella scienza alchemica la trasmutazione della materia si attua perché vi è trasformazione spirituale.L’opera è permeata da uno spirito progettuale inteso come interpretazione, raccolta di dati e ricostruzione di un entità , di uno spazio che può essere soltanto psicologico ma che è lo stesso spazio che permea gli oggetti, le città reali nella visione soggettiva dell’uomo lo spazio “geometrico” non esiste se non nella nostra concettualizzazione della realtà, esso non è influenzato ma realmente costruito dalla nostra coscienza.«Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d'un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s'apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici ». Le città invisibili vanno anche oltre il progetto architettonico : il progetto ha bisogno della prosecuzione nel reale per restituirci un senso, il progetto ha bisogno della materia, della costruzione, esso và interpretato nella realtà del costruito, Le città di Calvino, invece, rappresentano uno spazio compiuto, cristallizzato nelle pagine e trasferito nella sensibilità del lettore.Calvino appronta una scacchiera virtuale dove le pedine posso essere spostate a piacere dal lettore al fine della costruzione interiore della realtà.L’architettura di Calvino è invisibile al mondo esterno ma si concretizza nella costruzione interiore di spazi e di relazioni dove l’arte combinatoria della nostra mente attingendo dalla memoria e dall’attimo presente costruisce il nostro vero mondo. Il sogno di Marco Polo si scontra con la razionalità di Kublai Khan :“…Nelle Città invisibili ogni concetto e ogni valore si rivela duplice: anche l'esattezza. kublai Khan a un certo momento impersona la tendenza razionalizzatrice, geometrizzante o algebrizzante dell'intelletto e riduce la conoscenza alla combinatoria dei pezzi di scacchi d'una scacchiera: le città che Marco Polo gli descrive con grande abbondanza di particolari, egli le rappresenta con una o un'altra disposizione di torri, alfieri, cavalli, re, regine, pedine, sui quadrati bianchi e neri. La conclusione finale a cui lo porta questa operazione è che l'oggetto delle sue conquiste non è altro che il tassello di legno sul quale ciascun pezzo si posa: un emblema del nulla... "(*)(*): Italo calvino, Esattezza pag.80, Lezioni americane, Mondadori 1993Le città invisibili si materializzano nella nostra mente come possibilità combinatoria del reale oltre la logica geometrica cartesiana e si prestano ad interpretazioni e significazioni altre da quella che a volte può essere intesa come banale e scontata realtà.

domenica 23 novembre 2008


Open Network for New Science & Art
VIRTUAL INTERNATIONAL ENTERPRISE
“Start up”



The VIRTUAL INTERNATIONAL ENTERPRISE is a free NETWORK of
TRANSDISCIPLINARY RESEARCH & DEVELOPMENT in SCIENCE & ART
for ENHANCING KNOWLEDGE ECONOMY.

- Strategic areas are the following :

a) Science Art and Innovation to develop creativity in contemporary society.
b) Education for improving a new “Creative Class” for high-tech leadership.
c) International rising of brain evolution and global consciousness .
d) Actracting investment for creative enterprises in science culture.

Network partners of “ON-NS &A / / VIE” use the same LOGO for common initiatives, programs and projects; they works together as administratively and legally independent corporate entities.

Want to get involved ? Write to Paolo Manzelli -
pmanzelli@gmail.com

lunedì 17 novembre 2008

L'armonia nascosta di Amedeo Modigliani






Di Amedeo Modigliani restano i suoi famosi ritratti, i nudi e i disegni eseguiti con tale apparente facilità, naturalezza ed eleganza da lasciare sconcertati, il suo stile è inequivocabile, i suoi volti allungati, distorti eppure perfetti sono una invariante della sua pittura Egli amava dire che il paesaggio non esiste, esiste la persona , l’individuo. Pittore romantico e individualista noncurante della moda pittorica dell’epoca. Modigliani non ostenta teorie, non esprime una poetica, ma lascia che a parlare sia la sua opera densa di espressione e di eleganza La sua vita sregolata e autodistruttiva è tutta tesa all’affermazione nell’arte ma questa arriverà troppo tardi, dopo la sua tragica morte. Il dipinto qui riportato è una ritratto della sua ultima compagna Jeanne Hébuterne : qui si manifesta tutta la potenza espressiva del pittore , i tratti distorti ma sensuali e malinconici descrivono la sua giovane compagna in un’espressione di struggente malinconia ed eleganza senza tempo. Altrettanto famosi sono i suoi disegni eseguiti con estrema rapidità e senza quasi staccare la matita dal foglio: Modigliani disegna di getto e non opera correzioni e il risultato è di rara eleganza formale



Ho provato ad esaminare al computer con l’aiuto della geometria e delle misurazioni questo disegno ed ecco il risultato: Nel disegno in esame possiamo tracciare delle ellissi che ne descrivono completamente la sagoma : il dato stupefacente è il rapporto matematico che intercorre fra le 4 ellissi ( n.b. l’ellissi “c” è ripetuta quattro volte a descrivere le curve degli arti ) infatti, l’ellisse “b” è pari a ¾ dell’ellisse “a” L’ellisse “c” è pari a 2/4 dell’ellisse “a” ed infine l’ellisse “d” è pari a ¼ dell’ellisse “a” e, cosa di maggior rilievo, il diametro minore A-B dell’ellisse “a” ( e di tutte le altre tre ellissi) è la sezione aurea del diametro maggiore C-D Ecco che alla base dell’eleganza e dell’armonia di questo disegno appare tangibile il rapporto aureo: un rapporto ricorrente in natura e sfruttato nell’ arte classica e rinascimentale e segnatamente nell’architettura per dimensionare colonne, capitelli, trabeazioni, facciate di edifici. Non credo che Amedeo Modigliani nella sua velocità di disegno aveva coscienza di queste proporzioni ma semplicemente applicava la sua armonia interna , ascoltava la sua natura che forse solo apparentemente era tanto contraddittoria e problematica.

mercoledì 5 novembre 2008

Spazio alchemico: Cappella di San Severo a Napoli

“…Il segreto della forma sta nel fatto che essa è confine, essa è la cosa stessa, e nello stesso tempo, il cessare della cosa, il territorio circoscritto in cui l’essere e il non più essere della cosa sono una cosa sola…”

(Georg Simmel)

Girovagando nei vicoli del centro storico napoletano non è difficile imbattersi nella famosa Cappella di San Severo. Circa la figura leggendaria del conte Raimondo di Sangro si è scritto molto, forse troppo e perciò non giova, in questa sede, ripetere cose scritte altrove e con più competenza; tralascerò le vicende storiche e tecniche riguardanti il principe e il suo operato sebbene sarebbe di sommo interesse indagare la sua opera da un punto di vista estetico- semiologico cosa che mi ripropongo di fare in un non ancora precisato tempo futuro.Mi interesso, in questo scritto, delle valenze architettoniche della sua massima opera: la Cappella e il suo contenuto.Qualche spunto emozionale sulla fusione fra il contenitore ( la cappella) e il contenuto (le sculture in essa presente) tralasciando una descrizione troppo tecnica e quindi algida di significati. Il dato di fatto incontrovertibile è lo stupore e lo sgomento che pervade quanti varcano la soglia della cappella; la scena che si osserva appena entrati è travolgente; l’osservatore non può contemplare perché è immerso in un ingranaggio di sensazioni capace di confondere le idee, e di sopraffare emotivamente. L’attenzione è continuamente spostata in tutte le direzioni spaziali per coagularsi dopo qualche attimo sulla scultura raffigurante il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, opera di intensità espressiva inusitata anche per un virtuosismo esecutivo stupefacente, rappresentante vero punto focale della cappella. Il presbiterio è letteralmente occupato da una cascata marmorea raffigurante la Deposizione che defluisce ai lati dove sono collocati a sinistra la pudicizia dello scultore Antonio Corradini e a destra il disinganno di Francesco Queirolo opere queste di una notevolissima ed elegantissima fattura.

La cappella in quanto involucro non è di particolare interesse architettonico essendo uno spazio tardo-rinascimentale senza nessun dinamismo e/o virtuosismo architettonico;il contenuto, invece, è il vero protagonista dello spazio interno alla cappella: esso è debordante,supera la massa critica dell’essere contenuto per diventare spazio esso stesso e come una piazza colma di persone perde la sua identità spaziale per divenire spazio vivente.il contenuto dà vita ad uno spazio emozionale policentrico e allora contenuto e contenente divengono un tutt’uno. Le sculture creano uno spazio dinamico nel quale sembra di ascoltare il suono del movimento e il flusso dei pensieri di quante sculture orbitano intorno all’unico punto fisso e silenzioso rappresentato Cristo Velato.Siamo in presenza di uno spazio “drammatico” come altri pochissimi esempi della Napoli BaroccaI panneggi delle sculture realizzati con tecniche alchemiche sono carichi di tutte le inquietudinidel barocco e già profetizzano, nella loro compiuta levigatezza, i fasti di un illuminismo prossimo a venireTutta l’energia, l’inventiva, la filosofia di Raimondo di Sangro di San Severo è cristallizzata in questo meraviglioso spazio. Le sue pur stupefacenti macchine anatomiche non sono nulla rispetto all’intensità emotiva e della carica umanistica che egli, tramite la sua opera, è capace di restituirciLo spessore umanistico è qui , in questi lucidi e sublimi marmi che operati da mani sapienti e da una mente fervida ci ricordano dell’unico e solo scopo della sua ricerca umana: l’arricchimento e la sublimazione dello spirito attraverso la manipolazione della materia.